Quando ho googlato “Francesco Arena maestro fornaio” per prepararmi a questa intervista, sono stata travolta da una quantità di articoli che riportano riconoscimenti, premi e titoli che gli sono stati assegnati nel corso della sua trentennale carriera professionale. Terza generazione di panificatori, il primo forno fu fondato a Messina dalla nonna Teresa nel ’39, Francesco inizia a lavorare da autodidatta nel panificio di famiglia perché “il richiamo della farina era troppo forte”. Presto però capisce che gli mancano gli strumenti per far evolvere il suo lavoro e si iscrive al corso di Alta Formazione Panificatore in CAST. Sarà il maestro Piergiorgio Giorilli a fargli conoscere nuovi modi e nuove tecniche per fare il pane, lo stesso che lo ammetterà anni dopo nella sezione sud del prestigioso Richemont Club Italia. Da questo momento la produzione del panificio viene rivoluzionata, grazie anche all’utilizzo di nuove tecnologie e alla riscoperta dei grani antichi siciliani per valorizzare la biodiversità dell’Isola. Da questo momento iniziano a fioccare i riconoscimenti e i premi: Miglior Fornaio Best in Sicily, Ambassadeur du Pain, Ambasciatore del Made in Italy e Ambasciatore del Gusto, 3 pani e 2 rotelle (per la pizza) nelle Guide del Gambero Rosso, settimo nella classifica 2023 di 50 Top Italy Street Food Italiani e membro dell’Alleanza dei cuochi Slow Food … Quando non è impegnato come ambasciatore della cultura culinaria italiana nel mondo, Francesco si occupa di formazione per aziende e istituti alberghieri siciliani perché “Nulla è dato mai per acquisito. Bisogno essere sempre assetati di conoscenza.” E se lo dice lui, c’è da crederci!
Con un panificio che si tramanda da generazioni, diventare panettiere è stata una scelta obbligata o il coronamento di una passione?
Ho ereditato da mio padre e ancor prima da mia nonna Teresa, l’amore per il mestiere del fornaio. Crescere tra farine, lievito e il profumo del pane che cuoce in forno, mi ha fatto apprezzare il valore più profondo di quest’arte antica e nobile. Ma non mi sono limitato a custodire questa eredità, ho voluto dare il mio contributo alla storia familiare di panificatori da generazioni con lo studio e l’innovazione.
Quali modifiche hai apportato al tuo panificio per renderlo più moderno, in termini di tecnologie, e produttivo dal punto di vista manageriale? Come si evolve il processo di panificazione attraverso l’uso di tecnologie innovative?
Nel pieno rispetto della mia storia familiare e pur volendo mantenere quell’atmosfera calda e accogliente della “bottega”, ho rivoluzionato l’attività in termini gestionali. Oggi il mio panificio è anche un’azienda moderna, impiega tecnologie evolute che ci permettono di controllare la produzione con risultati costanti, come la tecnologia del freddo grazie alla quale gestiamo fermentazioni e lievitazioni per fare un prodotto più aromatico, digeribile e buono. Una qualità che incide sul prezzo, ma ripagato dal risultato. Una nota in più: quando ho creato il mio team di lavoro ho voluto scommettere sui giovani, della cui formazione mi occupo personalmente, con una predominanza femminile, un modo per riconoscere l’eredità “matriarcale” di questo mestiere nella mia famiglia.
Grazie alla qualità del tuo lavoro sei Ambasciatore della panificazione italiana nel mondo. Cosa significa rappresentare l’Italia attraverso un prodotto universale come il pane?
Sono sinceramente orgoglioso di rappresentare l’arte italiana della panificazione artigianale. È una responsabilità che prendo molto seriamente, anche se mi impegna molto. Mi offre però l’opportunità di raccontare il valore racchiuso in ogni forma di pane, del lavoro dietro le quinte, in laboratorio, ma anche del sostegno che diamo alla granicoltura, privilegiando farine di grani locali ottenute con metodi di lavoro etici e sostenibili.
Il pane ha una valenza fortemente simbolica di pace, condivisione e comunione. Come intendi il tuo lavoro di mastro fornaio anche in chiave etica?
Il pane non è solo un prodotto culinario, ma è anche fortemente legato alla cultura italiana, oltre ad essere un simbolo di nutrimento, di famiglia, di condivisione. Così come il panificio non è solo una rivendita di pane, ma è un luogo di incontro e convivialità. In questo contesto, il mastro fornaio non fa il pane per soddisfare solo sè stesso, ma deve avere a cuore la sua clientela, comprenderne i bisogni e rispondere con prodotti dedicati alle diverse esigenze nutrizionali. Ha anche il compito di raccontare il valore delle materie prime che utilizza e delle tecniche che impiega per offrire pane nutriente e genuino.
Che ricordi hai del tuo periodo di formazione in CAST?
La formazione in CAST è stata preziosa per la mia crescita professionale e personale. Lungo il percorso formativo ho avuto l’opportunità di conoscere molti stimati professionisti e tanti colleghi con i quali si è creata una rete di relazioni stabile e duratura. Pensa che dopo quasi 10 anni continuiamo a sentirci per un confronto, un consiglio professionale, o anche solo per un saluto!
Programmi per il futuro?
Per indole e anche per mestiere sono in continuo “fermento”, ho sempre nuovi progetti nel cassetto che aspettano solo il momento giusto per essere realizzati. Certamente desidero continuare il mio impegno di divulgazione in qualità di Ambasciatore della panificazione italiana nel mondo. Sotto questo aspetto, ho in programma anche un’attività di formazione sempre più strutturata per i professionisti, e amatoriale per bambini e ragazzi. Per quanto riguarda la mia attività invece, ho il sogno di allargare i confini per portare i miei impasti ben oltre lo Stretto di Messina.