“Amo la pasticceria perché è duale: al pastry chef è richiesta forza fisica e delicatezza, come un ballerino classico”.

Andrea Cafarelli Dopico visiting chef in CAST Alimenti.

“Amo la pasticceria perché è duale: al pastry chef è richiesta forza fisica e delicatezza, come un ballerino classico”.

Andrea Cafarelli Dopico visiting chef in CAST Alimenti.

Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, quelli profondi di Andrea Dopico rivelano passione e una determinazione che affascina.  A 28 anni può già vantare collaborazioni importanti con il gotha degli chef stellati spagnoli (Carme Ruscalleda, Jordi Cruz, Paco Pérez) al punto che nel 2017 la prestigiosa rivista Forbes l’ha inserita tra i 30 artisti under 30 più influenti d’Europa.  Una ragazza tosta, Andrea, che persegue la sua idea di pasticceria in cui le radici latino-americane si fondono con il rigore della haute cuisine.

Amo la pasticceria perché è duale: al pastry chef è richiesta forza fisica e delicatezza, come un ballerino classico

Il tuo percorso professionale non è stato propriamente lineare: dopo quattro anni di studi di marketing e PR a Madrid hai scelto di inscriverti al Pacific Institut of Culinary Art a Vancouver.  Quando hai capito che la tua professione sarebbe stata quella di pastry chef e perché hai scelto il Canada per la tua formazione?
“Ti darò una risposta molto schietta: ho sempre amato la pasticceria, ma nel mio Paese, il Venezuela, fare il cuoco non è considerata una professione di prestigio. Ho scelto quindi una scuola internazionale, per diventare un professionista e con questo obiettivo ho studiato marketing per quasi 4 anni. Poi, per motivi personali, sono tornata a casa e lì, finalmente, ho capito che dovevo fare ciò che veramente volevo. Sono partita per il Canada, scelto perché la scuola di Vancouver aveva un programma molto intenso e completo che comprendeva anche degli internship; avevo necessità di apprendere velocemente, visto che ero partita un po’ in ritardo in questo mestiere. E curiosamente sono passata dall’essere una studentessa con voti mediocri all’università madrilena a prima della classe con un ottimo punteggio in Canada. Così ho capito che se vuoi veramente qualcosa, ci metti tutto il tuo impegno ed energia, non importa quanto sia faticoso. Certo, il mio non è stato un percorso lineare, ma oggi posso dire che tutte le esperienze che ho fatto prima della pasticceria le ritrovo nel mio mestiere. Per esempio, dal nuoto sincronizzato che ho fatto per 10 anni, ho imparato il lavoro in team e la disciplina, ma anche l’attenzione per i dettagli. Grazie a mia mamma che era una donna molto creativa, ho seguito corsi di ceramica, illustrazione e scrittura creativa e poi ho trasferito tutto nel mio lavoro.
Ritornando alla premessa, noi pasticceri non siamo eroi, non curiamo malattie, ma un dolce ha il potere di rendere le persone felici in un istante e per questo il nostro lavoro è molto gratificante. Ho iniziato a cucinare da piccola per la mia famiglia. Oggi faccio la stessa cosa per una “famiglia” più estesa, ma il sentimento di condivisione che lo anima è lo stesso.”

Chi sono i tuoi maestri e che influenza hanno avuto nelle tue scelte professionali?
“Ho avuto un grande mentore nella mia vita non solo professionale, ma anche personale: Carlos Garcìa, il primo chef con cui ho lavorato in Venezuela. Carlos ha lavorato da el Bulli e poi ha avuto un ristorante a Caracas che è entrato nella classifica dei 50 migliori ristoranti del Sud America. La brigata nella sua cucina è come una famiglia; lì ho capito che questo è l’ambiente in cui voglio lavorare, anche se non è sempre facile trovarlo.  Ho anche imparato l’atteggiamento sempre positivo nell’affrontare le difficoltà: allora e oggi ancora di più, trovare gli ingredienti in Venezuela non era facile. Carlos non ha mai considerato gli ostacoli una sconfitta, ma una opportunità di mostrare con orgoglio il cibo del nostro Paese. Mi ha insegnato alcuni punti fermi su cui voglio costruire la mia carriera e spero di averlo a fianco per tutto il mio percorso lavorativo, perché è una persona davvero speciale.
Da tutti gli altri chef con cui ho lavorato finora ho preso un pezzettino.  Dico sempre ai ragazzi che iniziano questo lavoro: il pasty chef che lavora in un ristorante deve saper tradurre la filosofia dello chef in un dessert da cui traspaia la sua personalità e questa è una grande opportunità creativa, secondo me. Rende il nostro lavoro divertente ed interessante ogni giorno”.

Come definiresti la tua pasticceria?
“Questa è sempre una domanda complicata perché sto ancora imparando, non ho ancora il pieno controllo del mio stile, faccio ancora tante prove ed errori. Sperimento per capire, con grande spirito critico, quello che mi piace nei dessert che creo, per migliorare sempre.
In una risposta, quello che più apprezzo in un dessert è quando trovo delle scelte di sapore: ne prendi un cucchiaio e trovi l’acido, un alto cucchiaio e scopri l’alcolico… E’ divertente per il cliente trovare differenti sapori nello stesso dessert.
Per quanto riguarda la struttura del dolce, mi piacciono le forme eleganti, ma non necessariamente super geometriche.  Preferisco un aspetto più naturale, ma comunque elegante e femminile.”

Dall’inizio di quest’anno, CAST Alimenti ha avviato un corso di alta formazione per pasticcere da ristorazione e d’albergo.  Quanto, secondo te, è importante una formazione specifica per questo mestiere e quali sbocchi professionali vedi possibili?
“La formazione è molto importante. Quando inizi questo percorso professionale senza una formazione specifica non dico che hai un limite di conoscenza, ma quello che impari è lo stile e la filosofia del posto dove lavori. Corsi come quello di CAST Alimenti ti spingono oltre questo limite e puoi anche essere inserito in brigata in posizioni superiori a commis, come chef de partie, per esempio.
Inoltre, conoscere le tecniche è certamente fondamentale, ma è altrettanto importante, secondo me, prendere confidenza con la propria creatività. Nel nostro lavoro, infatti, arriva un momento in cui devi iniziare a creare, altri in cui devi seguire le ricette dello chef e non metti in pratica la creatività. Quando crei un dessert, i primi tentativi non vanno quasi mai bene. Spesso la tua idea di partenza è molto diversa dal risultato finale. I pastry chef all’inizio della loro carriera devono essere curiosi e sperimentare tanto e questo richiede tempo e pratica. Consiglio quindi ai giovani: “Fatevi avanti”, lo chef non vi chiederà mai di creargli qualcosa, voi proponeteglielo. Gli chef, con la loro esperienza ed i loro consigli, vi insegneranno tantissimo; è fondamentale, soprattutto all’inizio, avere qualcuno che ti guidi e ti aiuti. Ma questa curiosità, questo desiderio d’imparare deve venire dall’allievo e sono sicura che un programma come quello di CAST Alimenti ti metta nella giusta predisposizione mentale”.

Cosa consiglieresti ai nostri allievi che stanno iniziando questo mestiere? 
“Siccome ho iniziato tardi la mia carriera, ho cercato di recuperare il tempo perduto con una specie di “ossessione” per la pasticceria: parlavo, pensavo, guardavo, mangiavo solo pasticceria! Lavoravo e poi andavo ad incontri di aggiornamento sulla pasticceria, davo una mano agli chef, ero il loro braccio destro ogni volta che ne avevano bisogno… questo mi ha dato molto più del mio solo lavoro. Potevo infatti dire di aver fatto tante esperienze diverse e questo mi ha anche resa più sicura in cucina, dove c’è tanta competizione.
Consiglierei ai ragazzi di essere aperti ad ogni opportunità gli si presenti e anche di crearle, le opportunità. Per esempio, qui in CAST Alimenti ne hanno una straordinaria: poter assistere alle lezioni tenute da alcuni dei migliori chef al mondo. Possono capire da vicino come pensano, come lavorano, come si muovono in una cucina, come organizzano una linea, come dispongono la mise en place … Tutte cose che non si imparano sui libri.”

Vedi un’evoluzione della figura professionale del pastry chef?
“Credo ci sia ancora molto da fare nel nostro mestiere. Mi spezza il cuore quando di un ristorante dicono: “Il cibo era buono, il dessert mah …”   E’ anche vero che molti pastry chef sono sotto pagati e sottovalutati. Credo, però, che riusciremo a migliorare e dare valore al nostro lavoro se continuiamo a parlarne, soprattutto con i clienti. Ricordo ancora quando sono andata a mangiare a El Celler de Can Roca. C’ero già stata qualche mese prima per preparare una gara con l’aiuto di Jordi Roca e avevo avuto l’opportunità di vedere la brigata di cucina al lavoro: si muovevano come una sinfonia. Questa esecuzione perfetta, i dettagli di un lavoro fatto da tante persone magistralmente coordinate, l’ho ritrovato nel menù che forse non avrei così apprezzato se non avessi visitato la cucina. E’ questo che intendo quando dico di dare valore al nostro lavoro; abbiamo raggiunto una posizione lavorando duramente e dobbiamo essere fieri di ciò che facciamo. E un giorno le persone uscendo da un ristorante diranno: “Il cibo era buono… ma il dessert era fantastico!”