Odette Fada, docente CAST

In aula • 20.09.2021

Odette Fada, chef e consulente di base a New York, docente AF Cuoco in CAST

Chef Odette: passione, competenza e voglia di condividere le sue conoscenze con i giovani

Abbiamo incontrato Odette Fada per un’intervista a ruota libera dove ci racconta della sua vita, della sua filosofia di cucina e degli obiettivi che si pone nel suo corso.

Ma prima di tutto, presentiamola, questa grande professionista, talmente brava ed apprezzata a livello mondiale da essere considerata una fra le protagoniste dell’affermazione femminile nel settore. Chef Odette, come ama essere chiamata, dopo le prime esperienze presso alcuni dei migliori ristoranti italiani, ha trascorso 25 anni della sua professione nelle cucine dei migliori ristoranti degli Stati Uniti, dove “Wine Spectator” l’ha consacrata fra i migliori chef italiani negli USA. L’esperienza statunitense l’ha portata a collaborare con vari nomi preminenti del mondo della ristorazione tra Los Angeles e New York, a organizzare eventi per le cerimonie degli OscarGrammy Award e party hollywoodiani. Nel 1996 è entrata nella cucina di Tony May, nel prestigioso team del San Domenico di New York, contribuendo fortemente a portare la cucina italiana nella Grande Mela. Dopo questa esperienza è tornata in Italia per gestire corsi e master. Ora sta sperimentando un nuovo percorso come docente e consulente per ristoratori italiani e americani che vogliono aprire un nuovo ristorante in America, ma anche per le grandi aziende che vogliono promuovere un prodotto italiano sul mercato statunitense. Dopo aver frequentato negli anni diversi corsi di Specializzazione in CAST Alimenti, dal 2020 ne è diventata consulente e docente del corso di Alta Formazione Cuoco.

Odette, cosa pensi quando ti indicano fra le donne che hanno dimostrato con le loro capacità di poter entrare nell’olimpo della cucina internazionale?
Ne sono felice, naturalmente. Anche se sono molto realista. Ho sempre detto, e lo ribadisco, che la donna, per forza di cose, deve fare più sacrifici. Questo è già un lavoro faticoso, ma alle donne richiede ancora più impegno, in particolare se hanno una famiglia e dei figli. Gli uomini hanno sempre avuto una vita meno stressata. E’ altrettanto vero che ora, rispetto ad un tempo, ci sono più donne chef proprio perché la condizione della donna è cambiata negli ultimi trent’anni.

Alla luce della tua lunga e prestigiosa esperienza americana, come si sta evolvendo la cucina in USA?
Rispetto ad un tempo gli americani amano sempre di più provare nuove cucine e sperimentare. Questo fatto è stato importante anche per la mia professione. A livello lavorativo, infatti, sono rimasta fedele all’italianità, ma è in California che ho imparato la leggerezza e a New York l’apertura verso sapori nuovi. Si percorrono nuove strade ed esperienze con coraggio. Fa eccezione proprio la cucina italiana, dove preferiscono sempre i gusti autentici e tradizionali. Da questo punto di vista, in Italia i giovani chef stanno sperimentando di più e hanno più voglia di conoscere per innovare. Tornando agli USA, devo dire che la cucina americana è molto avanti nel concetto imprenditoriale. Gli americani sono versatili e sanno innovare rapidamente anche il loro ruolo: un esempio significativo, il fatto che durante la pandemia di Covid molti cuochi hanno lavorato come chef privati nelle famiglie, oppure hanno aumentato molto il numero di party privati dove hanno cucinato.

Inoltre in USA ci sono notevoli differenze da costa a costa: in California sono sempre stati più consapevoli ed esigenti rispetto al cibo e al mangiar bene, sono più salutisti con una tendenza al biologico e al cibo vegetariano. Il newyorchese continua ad amare ancora molto la carne. Per questo la steak house trova la sua massima consacrazione proprio a New York. Fa tendenza, in questo periodo, usare in cucina determinate parti di animali mai usate prima e che facevano parte della cosiddetta “cucina povera”: ad esempio cresta di gallo, interiora, spalla di vitello, stinco di agnello, testicoli di vitello. Per quanto riguarda la cucina italiana a New York, bisogna dire che ancora oggi non è così facile trovare ottime materie prime italiane. Nella “Grande mela” si ha la sensazione di poter trovare tutto, ma non sempre si trovano prodotti tipici di alcune regioni italiane. Perfino i ristoranti specializzati in cucina regionale italiana, non propongono un’ampia scelta. Su questo fronte possiamo fare ancora tanto per fare conoscere meglio a New York, come in altre parti degli Stati Uniti, i nostri prodotti tipici.

Venendo alla tua attività fuori dalla cucina vera e propria, cosa è cambiato nella tua vita adesso che sei prevalentemente una consulente manageriale e formativa?
Nell’ambito manageriale i miei referenti sono ristoratori italiani e americani che vogliono aprire un nuovo ristorante in America, ma anche le grandi aziende che vogliono promuovere un prodotto italiano sul mercato statunitense. La mia consulenza varia dal menu agli abbinamenti con le bevande, dalla progettazione delle cucine e degli spazi alle lezioni di cucina e di educazione al mangiar bene e sano. È un ruolo nuovo che mi piace perché sono italiana ma conosco i gusti e il mercato americano.

Raccontaci qualche cosa della Odette più casalinga e personale, ad esempio cosa ami mangiare e cucinare?
Come ho avuto modo di dire più volte nelle interviste e quando me lo chiedono simpaticamente durante i corsi, io amo il cibo nella sua entità generale, tutto. Sono molto curiosa in merito alle cucine di altri popoli, anche oltre il Mediterraneo. Mangio giapponese, esattamente come mi piacciono piatti turchi o francesi. Naturalmente prediligo sempre la cucina italiana, che è quella della mia quotidianità. Non potrei farne a meno.

Sempre in ambito “casalingo”, hai scelto un marito francese che è anche chef. Un vantaggio o ami le sfide difficili anche da questo punto di vista!?…
Con Philippe non c’è conflittualità, anzi spesso ci diamo dei consigli tecnici o idee sugli abbinamenti di sapori. A volte scherziamo su chi cucina meglio o sulla eterna competizione tra vini e formaggi delle due nazioni. Siamo inoltre concordi che a casa nostra evitiamo se possibile di cucinare: quando siamo liberi dal lavoro, ci piace provare nuovi ristoranti. Se ci capita di cucinare a casa, ad esempio se abbiamo amici a cena, generalmente cucino io. A Philippe piace moltissimo la pasta e come faccio il risotto.

Come si struttura la tua collaborazione con CAST e quali sono i principi sui quali basi la tua attività formativa nella nostra scuola?
Prima di tutto voglio dire che sono veramente felice ed orgogliosa di poter svolgere corsi e attività di formazione in CAST. Non solo perché sono partita con la mia carriera professionale proprio da qui, ma perché la reputo una realtà di assoluta eccellenza nazionale ed internazionale. Lo dimostra il fatto di quanti allievi provengono da aree geografiche diverse per frequentare le varie attività e l’Alta Formazione in particolare. Dalla fine del 2020, ed anche ora, ho cominciato a collaborare con CAST su un tema che reputo veramente strategico, alla luce dei cambiamenti nello scenario di mercato e del settore a causa del Covid: sto parlando dei buffet. Sto portando la mia esperienza e la mia voglia di innovare questo servizio, anche in considerazione delle restrizioni che vedono i professionisti chiamati ad un impegno senza precedenti in questo ambito. Non si tratta solo di scelte nell’offerta, ma di organizzazione e ottimizzazione delle risorse. Nello stesso tempo, grazie alla mia duplice esperienza in mondi gastronomici tra loro assai differenti, propongo sia buffet che si ispirano alla cucina tradizionale regionale italiana, sia con una matrice decisamente americana.

Per quanto riguarda i corsi, reputo importantissimo il ruolo di CAST e ciò che la scuola offre, soprattutto ai giovani. E’ inutile nasconderlo: le scuole alberghiere generalmente non riescono ad offrire una preparazione adeguata per entrare da subito nel mondo del lavoro. C’è bisogno di molto di più e questo valore aggiunto lo sa dare CAST. Per quanto riguarda la mia attività, qui in CAST, intervengo su specifici argomenti coadiuvando i colleghi, anche se ho l’ambizione di poter aumentare le ore di corso e dare maggiore continuità agli incontri con gli allievi. Per CIA (n.d.r. The Culinary Institute of America, la più prestigiosa scuola di cucina degli Stati Uniti) riuscivo a fare anche tre mesi continui di corso, sviscerando molti argomenti su ogni specifica ricetta, dalle riflessioni sulle materie prime fino agli abbinamenti più originali. Mi piacerebbe quindi replicare la struttura, adeguandola ovviamente al contesto e agli obiettivi di CAST. In particolare voglio puntare sul concetto che la semplicità può offrire eccellenza, ma naturalmente ho bisogno, in questo caso più che mai, di materie prime di assoluta qualità e freschezza. Il famoso kilometro zero, ad esempio, diventa per alcuni prodotti veramente determinante. I giovani devono saper riconoscere le differenze, ed è compito mio aiutarli a raggiungere questa attenzione e consapevolezza.