Vita della scuola • 20.12.2018
Fin da piccolo Pietro Leemann ha coltivato l’amore per la terra e la natura. Dopo essersi diplomato alla scuola alberghiera si avvicina alla “Nouvelle Cousine” lavorando presso i più grandi maestri dell’epoca, come Fredy Girardet e Gualtiero Marchesi. Durante un soggiorno in Cina e Giappone capisce come far coincidere il suo percorso spirituale con quello professionale: diventare vegetariano e fare una cucina rispettosa della natura.
Mi può indicare i due elementi che hanno maggiormente caratterizzato la Sua formazione professionale?
Il primo elemento, è stata la fortuna d’incontrare dei grandi maestri di cucina. In particolar modo, le mie persone di riferimento nella cucina occidentale sono state Angelo Conti Rossini, un famoso cuoco ticinese con un ristorante 2 stelle Michelin, Fredy Girardet a Crissier vicino a Losanna e Gualtiero Marchesi. Devo a loro la mia formazione, intesa non semplicemente come “imparare a cucinare”, ma anche imparare a vedere la cucina in modo più ampio. A questi maestri attribuisco il mio costante desiderio di voler conoscere sempre di più in cucina. La mia formazione è stata lunga, dai 16 fino ai 29 anni e tutt’ora studio. Il secondo elemento formativo importante è stato il periodo che ho vissuto in Oriente. In Cina e Giappone mi sono trasformato, sono diventato vegetariano e lì c’è stato il giro di volta della mia cucina. Tutte le scelte fatte da 30 anni a questa parte, perché il “Joia” il prossimo anno compie 30 anni, sono state orientate alla cucina vegetariana, amica del pianeta, della salute delle persone e di tutti gli esseri viventi. Una scelta di cucina a mio giudizio molto contemporanea, ma anche molto diversa da quella che viene definita “cucina gourmet”.
Secondo Lei, su quali valori deve essere fondata oggi l’etica professionale di uno chef?
A mio giudizio lo chef è un tramite tra la natura e l’ospite che la mangia. Nel corso della nostra vita, se le nostre relazioni sono armoniose stiamo meglio noi. Quindi abbiamo tutto l’interesse ad essere in armonia con gli altri, i nostri simili, ma anche con tutti gli esseri che abitano il pianeta e con la natura. E’ una relazione molto importante questa, perché noi siamo natura, ma a volte ce ne dimentichiamo e ci consideriamo addirittura sopra le parti e così la natura diventa un elemento distinto dall’uomo. Ma noi, ripeto, siamo natura. Quindi, coltivare questo aspetto e sottolinearlo nella mia cucina è per me molto importante.
Come è riuscito a trasformare i Suoi principi etici in ambito alimentare in una formula ristorativa di successo?
In primo luogo, osservando i presupposti che, a mio giudizio, danno piacere all’ospite. L’ospite va in un ristorante se ne ricava piacere. Se nella cucina onnivora spesso il piacere è dato dalla sapidità, quindi dall’elemento arrostito, succulento, grasso, nella cucina vegetariana ciò che dà piacere sono i gusti. Ho quindi fatto una accurata ricerca sul gusto come strumento di piacere. L’altro elemento di successo è la qualità: da 30 anni al “Joia” si trova una qualità non solo costante, ma anche in evoluzione. E’ per questa continua ricerca della qualità che il mio ristorante non è mai statico, ma in continuo rinnovamento.
Quindi mi conferma che la sperimentazione in cucina è fondamentale?
Viviamo in un periodo storico particolare, in cui tutto cambia molto velocemente e a volte si rischia di essere fuori dal presente. Lo stesso mondo della cucina ne è un esempio: la prima rivoluzione è avvenuta dopo 300 anni con la nouvelle cuisine negli anni ‘70; da allora, ci sono già stati almeno due o tre momenti importanti che hanno cambiato il mondo della cucina. Ciò che io faccio è cercare di orientare l’ospite, e la cucina in generale, verso dei valori, quelli di una cucina sana, che fa bene a chi la mangia ed è rispettosa del pianeta. Questi aspetti non vanno mai trascurati. Ma a volte capita che la cucina diventi fine a sé stessa, quindi solo edonista, un modello estetico, di moda. In alcuni movimenti per esempio, si è introdotta la chimica in cucina che di fatto non è sana. Si tratta di una forma di sperimentazione, a mio giudizio, sbagliata in partenza. Anche nella ricerca non si può andare al di sotto di certi presupposti etici: una cucina con troppa carne a mio parere è antistorica.
Come sceglie la Sua brigata di cucina e quali caratteristiche ricerca in un collaboratore?
Il “Joia” è una sorta di luogo/scuola diverso da tanti altri ristoranti. Quello che noi cerchiamo di perseguire è il rispetto della persona; il carattere della persona non viene mai prevaricato, ma interpretato. Ci sono però delle caratteristiche che preferiamo nei nostri collaboratori: persone gentili, che hanno passione per il lavoro, rispettose e umili nel modo di porsi, che capiscano che ci sono dei ruoli da rispettare. Ma quello che è interessante, è che poi al “Joia”, agendo e mangiando in un certo modo, perché noi siamo anche ciò che mangiamo, i miei collaboratori si trasformano, il loro carattere sboccia, si illumina. Anche se non scegliamo collaboratori vegetariani; il vegetarianismo è una scelta libera.
Che futuro vede per la Sua attività?
Per me il futuro deve coincidere con le parole “responsabilità”, “qualità” e “trasparenza”. Ognuno di noi deve diventare responsabile di ciò che produce. Nel mio caso, come cuoco, devo certamente far funzionare il ristorante, ma sono prioritariamente responsabile dei miei collaboratori e della salute dei miei clienti, il guadagno viene dopo. La qualità e la trasparenza sono la diretta conseguenza dell’assunzione di responsabilità: bisogna agire in trasparenza. Nel trentesimo di “Joia” voglio sottolineare, anche in modo perentorio, cosa intendo per qualità. Noi, come consumatori e anche come ristoratori, dobbiamo essere attenti all’origine dei prodotti, anche utilizzando i diversi sistemi di autocertificazione e di tracciabilità degli alimenti oggi disponibili. Poi ognuno è libero di scegliere.
Credits prima fotografia: Lucio Elio